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Da Scilla al Tanai. Nuove missioni di guerra dall’Africa all’Ucraina.

Da Scilla al Tanai. Nuove missioni di guerra dall’Africa all’Ucraina.

La delibera sulle missioni militari all’estero per l’anno 2023 è stata approvata tra i provvedimenti che il Consiglio dei Ministri ha simbolicamente discusso nella seduta del Primo Maggio. Ciò rende evidente come questo sia un ulteriore attacco alle classi sfruttate, insieme al decreto che impone nuove misure peggiorative delle condizioni di lavoro.

Nella delibera vengono sostanzialmente confermate le linee strategiche già definite negli scorsi anni. L’impegno nell’Europa continentale, in particolare ad Est e nei Balcani; la presenza nel settore asiatico, con le importanti missioni in Libano e Iraq; lo sviluppo dell’intervento in Africa; il sempre più rilevante ruolo delle missioni navali e aeree. Questo impianto viene dunque confermato, con 39 missioni per cui viene richiesta la proroga, e 4 nuove missioni per cui il Governo richiede l’approvazione, una di addestramento alle forze armate dell’Ucraina, una in Libia, una in Niger e una in Burkina Faso.

Il 18 maggio il Ministro degli Esteri Tajani e quello della Difesa Crosetto hanno presentato la delibera con una comunicazione alle commissioni Difesa della Camera e Esteri e Difesa del Senato. Di solito infatti l’esame da parte del Parlamento si svolge principalmente nelle commissioni, che presentano poi una relazione che viene sommariamente discussa dalle camere. Secondo il calendario dei lavori è prevista per il 23 giugno alla Camera dei Deputati la discussione in assemblea sulla relazione delle commissioni Difesa ed Esteri sull’argomento.

Vediamo come si articolano le quattro nuove missioni secondo i documenti e le dichiarazioni dei ministri:

Ucraina

La missione EUMAM Ucraina è una missione militare dell’Unione Europea con compiti di addestramento sia delle Forze Armate sia delle Forze di Difesa Territoriale ucraine. Impegna fino a 80 militari italiani, sia presso il comando generale della missione a Bruxelles, sia presso i comandi tattici, dove si svolgono le attività di addestramento, in Polonia e Germania. Alcuni moduli addestrativi dovrebbero inoltre svolgersi in Italia, dopotutto a questo servono le tante basi presenti sul territorio. La missione è già in corso e ha compiuto l’addestramento di 16000 militari, si propone di raggiungere i 30000 entro la fine dell’anno. Questa missione è un ulteriore passo della partecipazione italiana, nel quadro di quella dell’UE, alla guerra in corso in Europa orientale. Segna il sempre maggiore coinvolgimento del paese in un conflitto che, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, è diventato uno dei più cruenti contesti di guerra a livello globale, e certamente quello più pericoloso per il rischio di escalation continentale e globale.

Addirittura commentatori vicini agli ambienti militari segnalano la “opacità” da parte del governo riguardo questa missione. Questa opacità è dopotutto in linea con la politica mantenuta dallo stato italiano, che ha imposto il segreto di stato sulle liste delle armi inviate all’Ucraina.

Libia

La missione EUBAM Libia è anch’essa inserita nel quadro UE ed è orientata, come descritto anche nella sigla, alla “assistenza” nella gestione delle frontiere. Per la missione, guidata da una funzionaria della Agenzia delle Dogane. è previsto l’impiego massimo di 3 unità di personale, da attingere in parte anche dalle fila della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza. Una missione di dimensioni ridotte quindi, che va a completare il quadro della articolata presenza militare italiana in Libia, ormai continua dal 2016. Questa missione ha comunque una sua specifica rilevanza perché va ad inserirsi nella cosiddetta politica di esternalizzazione delle frontiere. Lo scopo dichiarato è quello del “rafforzamento delle strutture statuali preposte alla sicurezza, in particolare nei settori della gestione delle frontiere e della giustizia penale, al fine di contribuire agli sforzi per smantellare le reti della criminalità attive nel traffico di migranti, nella tratta di esseri umani e nel terrorismo.” Obiettivo da raggiungere attraverso la stesura di un “libro bianco sulla gestione integrata delle frontiere”, e l’assistenza “alla pianificazione strategica nell’ambito del Ministero degli interni e del Ministero della giustizia”. Una missione apparentemente quasi innocua, ma che è complementare alla famigerata e contestata missione di supporto alla guardia costiera libica. È riconosciuto come le autorità libiche siano responsabili di atrocità in mare e sulla terraferma nei confronti delle persone immigrate e di coloro che cercano di attraversare il Mediterraneo. Con questa nuova missione non si forniscono direttamente strumenti per perseguire queste politiche di morte e tortura, ma, forse anche peggio, si cerca di legittimare le autorità libiche come guardiani delle frontiere d’Europa. La prospettiva, stando alle dichiarazioni di esponenti del governo, è quella di adattare alla Libia il modello adottato dalla UE con la Turchia, per trattenere i profughi sulle coste libiche. O addirittura quella della deportazione verso la Libia, una volta che il paese sarà classificato come “sicuro”.

Niger

La missione EUMPM Niger è una missione militare dell’UE decisa nel dicembre 2022 dal Consiglio UE nel quadro della Strategia Integrata dell’Unione per il Sahel. È già stata avviata il 20 febbraio scorso, e ha una durata prevista di tre anni. Il comando della missione è stato assegnato ad un ufficiale italiano, oltre all’Italia anche la Germania partecipa alla missione inviando proprie truppe. Il governo ha definito in 20 unità il massimo impegno dell’Italia in questa missione in termini di personale. Lo scopo della missione è quello di “sostenere le forze armate del Niger nella lotta contro i gruppi terroristici armati e nella protezione della popolazione civile.” Stando a quanto indicato questo aiuto si realizzerebbe attraverso formazione e supporto organizzativo, e non attraverso un intervento diretto nelle aree di conflitto. La nuova missione si inserisce nella già consolidata presenza italiana in Niger, dove ormai dal 2017 è attiva una missione bilaterale, e le forze armate italiane hanno una propria base. Svolgendo compiti di addestramento per le forze armate locali, l’Italia sembra aver consolidato in questi anni la propria presenza nel paese, portando nel 2023 a oltre 500 il numero dei militari schierati. Il Niger è così divenuto il “bastione” dell’Italia nel Sahel, ruolo che mantiene anche in una fase come quella attuale di crisi della presenza europea nella regione. La cacciata dei francesi dal Mali, che hanno visto fallire l’operazione Barkhane, e il conseguente ritiro delle missioni italiane nel paese con la chiusura anticipata della Task Force Takuba nel 2022, rappresentano un fallimento della politica aggressiva europea nel Sahel, spiegabile solo in parte con la penetrazione dei mercenari russi dell’agenzia Wagner. In Mali l’Italia si è voluta inserire insieme agli altri paesi europei in una guerra sanguinosa e senza sbocco che la Francia stava conducendo da anni, senza ottenere altro risultato che esasperare le drammatiche condizioni sociali del paese. La nuova missione europea in Niger è quindi parte di un più generale riorientamento dell’UE nel Sahel, a fronte della sconfitta strategica in Mali.

Burkina Faso

La missione bilaterale in Burkina Faso è una delle principali novità tra le missioni per cui il governo chiede l’approvazione. Stando alla relazione si tratta anche in questo caso di una missione a scopo addestrativo delle forze armate e di polizia locali, per cui si indica un impegno massimo di 50 militari. Si noti che la base giuridica per questa missione è l’accordo di cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Burkina Faso siglato nel 2019. Il Burkina Faso ha subito nel settembre 2022 un colpo di stato, il secondo in un anno, ed è attualmente governato dalla giunta militare guidata da Ibrahim Traoré. Sulla base di un accordo con un governo deposto, si avvia quindi una missione di addestramento delle forze armate di un regime di dittatura militare. Forze armate che tra l’altro sono state ritenute responsabili negli ultimi mesi di massacri di civili nei villaggi fulani, nel corso delle cosiddette operazioni antiterroristiche. Non sarebbe una novità che l’Italia addestri bande di assassini visto quanto già accade con il supporto alla guardia costiera libica, nell’addestramento alle forze speciali del Sudan o alla polizia somala. Dopotutto le stesse forze armate italiane hanno acquisito in Africa un curriculum di tutto rispetto in termini di atrocità commesse. Ad ogni modo, l’importante per l’Italia è non lasciare anche il Burkina Faso sotto la sola influenza russa, e assicurare una presenza in un paese la cui instabilità potrebbe contagiare i paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea, dove gli interessi dell’ENI sono molto forti.

Diplomazia militare

Questa è quella che viene definita “diplomazia militare”: offrire moduli addestrativi secondo standard internazionali in cambio di accordi per lo sfruttamento delle risorse, per l’installazione di strutture militari, per la gestione delle frontiere. La diplomazia portata con le punte delle baionette lascia però facilmente il passo alla guerra. Dopotutto anche i principali motivi che muovono l’azione del governo vanno in questa direzione. Al vuoto proposito della ricerca della stabilità regionale, si associa sempre la difesa dell’interesse nazionale, in una prospettiva predatoria e aggressiva di cui già parlavamo negli scorsi anni, quando questa espressione iniziò a farsi strada. Ora questa dimensione aggressiva trova sponda concreta nella sempre più profonda linea di conflitto globale che vede confrontarsi Russia e Cina da una parte e NATO e UE con l’Italia dall’altra. È una dimensione di conflitto che si sta cristallizzando in fronti sempre più definiti, non solo in Europa orientale, ma anche in Medio Oriente, nei Balcani e in Africa, e le missioni italiane sono in prima linea. Si tratta, come si è ormai avuto modo di vedere, di una politica trasversale ai partiti di opposizione e di governo, che i fascisti che oggi guidano il paese sono solo i più decisi a portare avanti. Sta al movimento anarchico, alle realtà antimilitariste, ai movimenti dal basso saper opporre un argine adeguato a queste politiche che puntano dritte al baratro della guerra.

Dario Antonelli

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